Non cambia la dichiarazione della velocità massima, però ora l’Alfetta 2000, con il suffisso “L” per sottolineare il motore, è tornata al vertice del segmento per potenza. Pochi dettagli la distinguono dalla versione precedente: il più immediato è l’inserto sulla plancia che diventa tipo legno.
Nata come berlina da famiglia intonata alla sportività, l’Alfetta, in versione 2000 L, ha acquistato una connotazione da berlina di rappresentanza, da auto aziendale, un modello che a fine anni Settanta continua a essere tra i preferiti dal pubblico in tutte le sue cilindrate.
La 2000 L diventa addirittura la due litri più venduta in Italia e tra le più vendute in Europa, cosa che induce l’Alfa Romeo a unificare la carrozzeria della 1.6 e 1.8 a quella della sorella maggiore. Il restyling è del 1981 ed è il modello qui fotografato, dove le versioni di minore cilindrata si distinguono per alcuni allestimenti semplificati. Con l’occasione, si rivedono i rapporti del cambio e l’assetto.
L’Alfetta ha ora marce più lunghe con quinta di riposo e un assetto più morbido. Lo scopo è diminuire ulteriormente i consumi e rendere la vettura più confortevole. Immutate invece le caratteristiche dei motori.
A richiesta si può avere il tetto apribile, il differenziale autobloccante, l’aria condizionata, mentre l’antenna radio è incorporata nel parabrezza. Sono passi che adeguano la vettura, ormai nel pieno della maturità, agli standard presentati dalle nuove concorrenti. Il 1981 è anche l’anno di ingresso della Turbo Diesel 2000 da 82 CV e della 2.0 LI America, versione italiana del modello 2000 esportato negli USA.
La 2.0 LI America, che ha l’iniezione Spica, ha lo scopo di testare la reazione del mercato verso un’Alfa Romeo alimentata a iniezione invece che con i consueti carburatori. Passa un anno ed entra in listino una versione speciale della 2000 detta “Quadrifoglio”, con doppi fari circolari, cerchi in lega leggera di serie, calandra, fasce laterali e paraurti di colore marrone e check-system per il controllo delle funzioni principali della vettura. Le prestazioni sono invariate anche se il motore, a carburatori, perde 2 Cv.
In quegli anni ad Arese lo studio dell’elettronica di controllo del motore fa passi da gigante. E si concretizza nella 2000 Quadrifoglio Oro del 1983, dove l’elettronica, per mezzo di un microprocessore, controlla l’accensione, la fasatura delle valvole di aspirazione e l’iniezione di benzina, con il vantaggio di avere un motore più potente ed elastico ai regimi intermedi.
E anche più economico, visto che i consumi, a parità di potenza che torna a 130 Cv, si riducono del 7-8%. Questa versione completa l’aggiornamento della gamma Alfetta che, dopo un ultimo, leggero restyling che rivede alcuni dettagli, ora ha anche la chiusura centralizzata.
Altri aggiornamenti si vedono all’interno. Parallelamente entra in listino la versione 2.4 turbodiesel da 95 CV il cui allestimento è simile alla Quadrifoglio Oro, salvo i fari anteriori rettangolari invece della coppia di fari circolari e i coprimozzo color alluminio su cerchi in acciaio come nelle versioni 1.6, 1.8, 2.0 e 2.0 turbodiesel.
E non è finita perché l’Alfetta diventa laboratorio sperimentale con il sistema CEM, frutto di un lavoro volto alla continua ricerca dell’ottimizzazione dei consumi. Il progetto consiste nel far funzionare il motore della 2000 a due o a quattro cilindri in relazione al carico, seguendo la logica di mettere il motore nelle condizioni di erogare la potenza richiesta con il massimo del rendimento.
Il passaggio da due a quattro cilindri è gestito da una centralina elettronica e viene appena avvertito da chi guida. Il progetto, partito nel 1976 all’interno del C.N.R. con il nome di “Progetto Finalizzato Energetica” e svolto in collaborazione con l’Università di Genova, si concretizza in dieci Alfetta CEM allestite con la carrozzeria della versione 2000 LI America, date in prova ad altrettanti taxisti di Milano. Altre, su base Alfetta unificata modello 1981, vengono date agli ispettori della Casa e qualche centinaio vendute, per una produzione di circa mille vetture.
È un progetto di assoluto rilievo, che non ha però seguito commerciale, anche per le avvisaglie della crisi che avrebbe portato, nel 1987, la Casa del Portello nell’orbita Fiat. Nel 1984 il modello Alfetta, dopo dodici anni di onorata carriera, entra nei libri di storia. Ma non quella della famiglia Passuello, che è ancora in ottima forma, trentanove anni dopo, nonostante sia passata attraverso uno schianto che ne avrebbe potuto compromettere la vita di magnifica “uni proprietario”.
Merito di Gianluigi, per il quale l’Alfetta è una di famiglia: «Sull’Alfetta ci stavamo tutti, e con tutti i bagagli!», dice, con trasporto. Ma se gli chiedi cosa gli piace di più, la risposta è quasi scontata, per un alfista: «Il motore generoso, che non dice mai di no. È sempre pronto. E poi la macchina è stabile, precisa; e fai una manovra sbagliata, ti toglie dai guai, esattamente come diceva la pubblicità: “Un’Alfa Romeo perdona tutto”.
Ma soprattutto, mi piace il rumore del motore, una vera sinfonia!».